GIOCO DI SPECCHI

Comincia tutto una mattina Ti guardi allo specchio e capisci che qualcosa non va. Sulle prime dai la colpa alla carbonara della sera prima o magari pensi che sia giunto il momento di cambiare il materasso,  chissà.

Una cosa è sicura: il tipo che ti fissa non deve passarsela gran bene, visto la faccia che ha.

L’acqua calda gorgoglia rumorosa. Lento il vapore sale e annebbia lo specchio. Il rasoio leggero porta via dalle guance nuvole di schiuma bianca. Le guardi compiere una veloce piroetta  prima di tuffarsi  nello scarico; ti sorprendi a pensare che una volta sapevi anche il perché  ruotino in senso orario e non il contrario, ma lo hai dimenticato. Orario. Senso. Tempo. Alzi gli occhi  sull’orologio appeso alla parete e vedi che è gia tardi.

Vai in camera e accendi la luce. Dal fagotto sotto le coperte che dovrebbe essere tua moglie giungono suoni incomprensibili: “ Si, cara ora spengo” rispondi. Lentamente cominci a vestirti.  Ti accorgi dell’uomo nel grande specchio dell’armadio. Lo vedi li, seduto sul letto, in mutande, i pantaloni tirati su fino alle ginocchia. Provi fastidio Ti alzi dal letto dandogli le spalle. Appena hai finito spegni la luce. Dal letto il fagotto manda un mugugno di ringraziamento. Tuo padre diceva sempre che le cose meglio nascoste sono quelle che hai davanti agli occhi. Ci pensi ogni volta che cerchi le chiavi. Le trovi. Prendi la borsa e esci.

Le scale sono silenziose, inondate dalla luce algida dei neon. Premi il tasto di chiamata dell’ascensore. Il ronzio del motore elettrico sembra esplodere in quella quiete innaturale. Di colpo il rumore cessa e le porte scartano lentamente di lato. Nel grande specchio interno vedi  un uomo. Sembra già stanco. Porta gli occhiali; il riflesso sulle lenti ti impedisce di guardarlo negli occhi. Entri. La cabina scende lenta. Per strada c’è la stessa, immobile calma. Sei solo, a parte i forzati che vengono portati a spasso dai loro cani incontinenti. Le finestre dei palazzi sono quasi tutte spente, come occhi chiusi. L’unico faro, in attesa che sorga il sole, è il bar pasticceria all’angolo. Entri, in silenzio. Fabio, il barista, prepara il solito. Ti perdi nei giochi di luce del grande bancone di acciaio specchiato.

Quattro chiacchiere. Routine. “giornataccia?”, chiede lui. “non più di altre” rispondi. Il barista si gira. Prende una foto della sua bambina che soffia sulla torta per il suo quarto compleanno. “ L’unico modo per andare avanti è guardare oltre” ti dice. Guardi la foto di sfuggita. La bambina sembra felice. Lasci un euro sul bancone ed esci. Guardare oltre. Chissà, magari questo filosofo alla caffeina ha ragione. La fermata è deserta. L’autobus fermo al capolinea sembra riposare la sua carcassa d’acciaio. L’autista legge svogliato un giornale. Qualcuno ha rotto uno specchio. Ti vedi riflesso in centinaia di omini sparsi sul selciato. Poco più che spazzatura.

Si, bisognerebbe guardare oltre.

Ma l’autobus sta partendo.

Sarà per un’altra volta.

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